Psicoterapie di terza generazione

Con il termine “Terza generazione” o “terza onda” ci si riferisce a un cambiamento di paradigma, iniziato negli ultimi due decenni del secolo scorso ma concretizzatosi a partire dagli anni 2000, e che ha mutato radicalmente il panorama della psicoterapia cognitivo-comportamentale mondiale. Gli elementi base di questo cambiamento culturale sono:

  • Focus sui processi psicoterapeutici transdiagnostici
  • Focus sull’accettazione degli stati interni e sulla mindfulness
  • Focus sui valori personali, il senso dell’esistenza e la spiritualità

Le psicoterapie di terza generazione emergono in continuità con la tradizione cognitivo-comportamentale precedente e, più che sostituire o opporsi a essa, integrano e specificano diverse prassi già in essere.

Per prima generazione si intende solitamente l’anima più comportamentista della tradizione cognitivo-comportamentale. Le pratiche prettamente comportamentali di sviluppano intorno agli anni ’50 del secolo scorso e sono finalizzate sull’applicazione sistematica delle conoscenze relative al condizionamento rispondente di Pavlov e il condizionamento operante di Skinner e Thorndike. Questo tipo di conoscenze guidano verso pratiche di esposizione in vivo, di decondizionamento e controcondizionamento, con una minore enfasi sugli aspetti verbali e cognitivi. Quest’ultima affermazione va intesa non come un rifiuto nei confronti delle variabili cognitive, come a volte viene erroneamente divulgato, ma la constatazione di non possedere una chiara e solida teorizzazione scientifica di queste variabili.

La seconda generazione invece si sviluppa dagli anni ’70 del secolo scorso e incarna l’anima più cognitiva della tradizione cognitivo-comportamentale. Il focus di questa tradizione sono i pensieri con il loro contenuto, ad esempio razionale o irrazionale (Ellis), e il processo del pensare, ad esempio pensieri automatici e distorsioni cognitive (Beck), e il modo in cui questi processi impattano sulla vita emotiva e comportamentale della persona. Due dei contributi più sistematici e significativi di questa tradizione sono certamente la terapia cognitiva per la depressione di Aaron Beck che considera i vissuti depressivi il prodotto di pensieri automatici negativi relativi a se stessi, al futuro e al mondo e la Terapia Razionale-Emotiva di Albert Ellis.

Sembra una curiosa coincidenza che una delle prime applicazioni assimilabili alla terza generazione riguardi proprio la terapia cognitiva per la depressione. Nel 2002 Segal, Williams e Teasdale pubblicano il primo protocollo di Mindfulness-Based Cognitive Therapy per la prevenzione delle ricadute depressive in cui vengono applicate le pratiche di mindfulness alla ricognizione dei pensieri depressivi automatici e all’implementazione di strategie funzionali di gestione emotiva. Il termine “terza onda” tuttavia viene coniato nel 2004 da Steven C. Hayes, uno psicologo di origine comportamentale e colui che ha formulato e sistematizzato, insieme a Strosahl e Wilson, l’Acceptance and Commitment Therapy. L’ACT rappresenta attualmente, per coerenza, strutturazione e validazione empirica, la versione più matura di questo movimento culturale. L’ACT incarna tutte le caratteristiche prototipiche delle terapie di terza generazione e ha contribuito in modo massiccio a fissarne gli standard.

Nel corso degli ultimi vent’anni sono fiorite diverse forme di psicoterapia di terza generazione tra le quali:

  • Dialectical Behavior Therapy (DBT; Linehan)
  • Functional Analytic Psychotherapy (FAP; Kohlenberg & Tsai)
  • Integrative Behavioral Couples Therapy (IBCT; Jacobson, Christensen, Price, Cordova & Eldridge)
  • Mindfulness-Based Cognitive Therapy (MBCT: Segal, Williams & Teasdale)
  • Behavioral Activation (BA; Ferster)
  • Acceptance and Commitment Therapy (ACT; Hayes, Strosahl & Wilson)
  • Approcci metacognitivi (MT; Wells)
  • Compassion Focused Therapy (CFT; Gilbert)
  • Emotion Focused Therapy (EFT; Johnson and Greenberg)
  • Schema Therapy (ST; Young)

Tutte queste forme di psicoterapia pur nella loro diversità condividono diversi elementi che le avvicinano l’una all’altra e che contribuiscono a rendere il panorama contemporaneo un terreno fertile per un dialogo scientifico costruttivo e la nascita di diverse contaminazioni reciproche.

Infine negli ultimi anni la psicoterapia è stata investita dalla nascita di una vera e propria rivoluzione denominata Process-Based Psychoterapy (psicoterapia basata sui processi). Questo programma di ricerca clinico, promosso da Steven Hayes e Stefan Hoffman a partire dal 2018, è una diretta evoluzione della terza generazione e nasce dalla consapevolezza dei limiti imposti dal paradigma medico, che ha dominato il campo la psicoterapia per più di cinquant’anni.

Infatti l’approccio nomotetico basato su sindromi e diagnosi mediche, utile in una prima fase per creare consenso tra gli esperti e favorire gli studi clinici ed epidemiologici, sembra essere arrivato a una fase di stallo. Ridimensionata l’aspettativa di trovare una base causale univoca e riconoscibile per le sindromi psichiatriche e psicopatologiche sembra essere giunto il momento di focalizzare gli sforzi verso lo studio delle interazioni tra processi che favoriscono o ostacolano il fisiologico funzionamento umano (N.B. “fisiologico” non equivale a “normale” perché l’approccio processuale è altamente idiografico e rifugge il concetto di norma statistica di gruppo applicata alla psicologia umana).

Nicholas Rescher in Process Metaphysics. An Introduction to Process Philosophy (1996) definisce un processo come “un gruppo coordinato di cambiamenti nella superficie della realtà, una famiglia organizzata di eventi che sono sistematicamente collegati tra loro sia dal punto di vista causale che funzionale … I processi sono correlazioni tra eventi: i processi coinvolgono sempre vari eventi, e gli eventi esistono solo attraverso i processi” (p. 39). I processi possono evolvere nel tempo senza cambiare di identità. In questo senso, le “cose” dovrebbero essere sempre viste come processi, ad esempio un fiume è un’entità stabile anche se l’acqua che lo compone scorre e cambia continuamente.

I processi di cambiamento terapeutico pertanto sono passibili di studio e indagine empirica e sono descritti da Hayes e Hofmann come: basati su una teoria, dinamici, progressivi, contestuali, modificabili e multilivello, e si verificano in sequenze prevedibili e empiricamente validate verso risultati desiderabili.

  • Basati su una teoria: perché sono associati a una chiara descrizione delle relazioni tra gli eventi e portano a previsioni e metodi di influenza verificabili;
  • Dinamici: perché i processi possono comportare circuiti a feedback e cambiamenti non lineari;
  • Progressivi: perché potrebbero dover essere organizzati in modo da raggiungere un obiettivo di trattamento;
  • Contestuali e modificabili: per focalizzarsi sulle loro implicazioni pragmatiche e su procedure di intervento a uso dei professionisti;
  • Multilivello: perché alcuni processi soprassiedono o sono annidati all’interno di altri.

Infine la ricerca processuale privilegia le misurazioni longitudinali purché abbiano una densità adeguata a identificare le sequenze di cambiamento contestuale e a specificare come queste sequenze si relazionano tra loro nel tempo. Ciò può essere reso più facile dalle tecnologie smart e mobile che consentono la trasmissione di dati catturati ripetutamente e in tempo reale, a volte con un costo minimo per i soggetti, e all’interno dell’ambiente naturale in cui si verificano eventi psicologici significativi. Questo permette al comportamento di essere meglio collocato in un contesto multilivello, con osservazioni nidificate all’interno dell’individuo e in un contesto storico e situazionale.