Acceptance and Commitment Therapy

L’Acceptance and Commitment Therapy (ACT; pronunciata come una singola parola che in inglese significa “azione”, e non A-C-T) è una forma di psicoterapia cognitivo-comportamentale sviluppatasi all’interno di una cornice teorica (Relational Frame Theory e analisi funzionale del comportamento) e filosofica (Contextual Behavioral Science/Functional Contextualism) coerente e basata su evidenze sperimentali, che usa strategie esperienziali di accettazione e mindfulness, insieme a strategie di impegno nell’azione e modificazione del comportamento, al fine di incrementare la flessibilità psicologica. L’ACT propone una visione psicopatologica peculiare, radicata nei normali processi di linguaggio e cognizione umani, anziché in specifici deficit cognitivi o neurologici. L’ACT ha promosso da subito una visione della psicologia umana esistenziale e non convenzionale e per queste sue caratteristiche viene annoverata all’interno del movimento contemporaneo delle psicoterapie di terza generazione.

L’ACT è una psicoterapia coerente e basata sulle evidenze empiriche ma anche articolata e complessa, per questo motivo possiamo solo limitarci a fornire un’ampia veduta d’insieme. Per un’analisi più approfondita in lingua italiana consigliamo i testi “ACT. Teoria e pratica dell’Acceptance and Commitment Therapy” di Hayes, Strosahl e Wilson (2013, Raffaello Cortina Editore) e “Fare ACT” di Russ Harris (2011, Franco Angeli).

Flessibilità Psicologica

Acceptance and commitment Therapy - ACT ITALIACon il termine flessibilità psicologica si intende: essere pienamente in contatto con il momento presente, come essere umano consapevole e, sulla base di ciò che la situazione permette, cambiare o persistere in comportamenti che perseguono i propri valori di vita. Obiettivo dell’ACT è di aiutare il cliente a scegliere di agire in modo efficace (comportamenti concreti in linea con i propri valori) anche in presenza di eventi privati difficoltosi o interferenti.

La flessibilità psicologica andrebbe intesa come un campo composto da sei processi terapeutici interdipendenti (e di converso patologici):

PF= f (a, d, sc, pm, v, c)

dove la flessibilità psicologica (psychological flexibility, PF) è funzione dell’accettazione (acceptance, a), della defusione cognitiva (defusion, d), del sé come contesto (self-as-context, sc), del contatto con il momento presente (present moment, pm), dei valori di riferimento (values, v) e impegno (commitment, c).

Nel modello ACT l’aggregato composto dai primi quattro termini all’interno della parentesi (accettazione, defusione cognitiva, contatto con il momento presente e sé come contesto) rappresentano i “processi di mindfulness e di accettazione”, mentre l’aggregato composto dagli ultimi quattro termini (sé come contesto, contatto con il momento presente, valori e impegno) rappresentano i “processi di impegno e cambiamento comportamentale”. Questa bipartizione è molto importante perché racchiude in se stessa il significato dell’acronimo ACT (acceptance and commitment).

Il campo comportamentale sopra descritto, denominato Hexaflex, rappresenta un modello del comportamento fisiologico umano. Infatti l’ACT è una forma di terapia transdiagnostica che non si focalizza sul specifici deficit, danni o diagnosi. Con il termine flessibilità psicologica viene descritto il normale funzionamento dell’essere umano, mentre la rigidità psicologica rappresenta il funzionamento psicopatologico, frutto di uno squilibrio o un blocco della normale interdipendenza dei sei processi dell’Hexaflex.

Evidenze sperimentali

L’ACT ha un’efficacia sostenuta sperimentalmente su una vasta gamma di condizioni cliniche (ultimo aggiornamento marzo 2021, 465 RCT e 165 metanalisi): stress lavorativo, dolore cronico, fumo, ansia, depressione, gestione del diabete, abuso di sostanze, stigma relativo all’uso di sostanze per la gestione del dolore in oncologia, epilessia, schizofrenia, disturbo borderline di personalità, tricotillomania, disturbo ossessivo-compulsivo, tossicodipendenze, pregiudizio razziale, disturbi associati al colpo di frusta, disturbo d’ansia generalizzato, dolore cronico pediatrico, gestione del peso e dello stigma legato all’obesità, utilizzo da parte dei medici di farmacoterapia basata sulle evidenze, ecc.

I dettagli di ciascuno di questi studi, insieme ai collegamenti agli articoli di ricerca originali, sono disponibili sul sito contextualscience.org (bit.ly/ACTRCTs)

Lo statunitense NREPP (National Registry of Evidence-Based Programs and Practice) ha inserito nel 2010 l’ACT nelle terapie basate su prove empiriche per la gestione del dolore cronico, così come l’American Psychological Association (APA) riconosce all’ACT, sempre in questo campo, uno status di “strong research support”.

II lavoro ACT si è sempre proposto elevati standard di valutazione empirica, non solo attraverso un assessment e una valutazione controllata dei risultati, ma anche l’individuazione e la valutazione dei processi di cambiamento ipotizzati, e la connessione di questi processi a una teoria di di base che mira a spiegarli in termini di principi comportamentali.

I protocolli di intervento sviluppati sono altamente strutturati e ogni punto del modello è stato validato sul piano della ricerca di base e clinica. L’ACT, per questa sua caratteristica di forte raccordo tra il piano della ricerca di base e applicata, rappresenta anche il modello più coerente con i principi dell’Evidence-Based Intervention.

Accettazione e Mindfulness

Nell’ACT la mindfulness è solo un metodo per promuovere specifici e identificabili processi psicologici (e cioè i sei processi della flessibilità psicologica). Nell’ACT, quindi mindfulness e processi psicologici non coincidono (come avviene invece in altre forme di terapia basate sulla mindfulness). Questi ultimi possono essere potenziati tramite un ventaglio di strategie più ampio e articolato di una pratica formale di meditazione, tramite per esempio metafore, analogie, paradossi, esercizi esperienziali, esposizioni in vivo.

Nell’ACT i processi di accettazione e mindfulness sono i seguenti:

  • Defusione cognitiva: consiste nel concepire i pensieri come pensieri, le emozioni come emozioni, i ricordi come ricordi, creando un contesto di non letteralità con i contenuti che veicolano. La defusione cognitiva permette di creare una distanza tra il contenuto dei pensieri e i comportamenti manifesti, favorendo un contesto in cui i primi non devono più essere causalmente collegati ai secondi da una corrispondenza letterale.
  • Accettazione: con questo termine non si intende una forma di rassegnazione o fatalismo ma un processo ben specifico intimamente legato a quello di azione impegnata. Infatti l’ACT non intende modellare un’accettazione incondizionata, radicale, acontestuale ma al contrario una disponibilità legata a specifici obiettivi pragmatici. Quando siamo chiamati ad aderire ai nostri valori e quindi a intraprendere azioni impegnate possiamo essere travolti da tempeste emotive di ogni tipo e da difficoltà. L’ACT promuove l’accettazione come una forma di consapevolezza, che pone i nostri valori in una posizione più importanti rispetto alle nostre paure o a qualsiasi difficoltà esistenziale.
  • Sé come contesto: ACT e RFT spiegano l’emergenza del sé in termini di un comportamento verbale appreso nel corso del tempo. Mediante una lunga storia di apprendimenti in diverse situazioni il bambino sviluppa un senso di prospettiva, ovvero vive il proprio comportamento come IO-QUI-ORA mentre legge il comportamento degli altri come TU-LÀ-ALLORA. Questa prospettiva rimane stabile nel corso del tempo e agisce come un “contesto” per tutti i comportamenti della persona. Di volta in volta i contenuti del pensiero, le emozioni, tutti gli stati interni e i comportamenti manifesti vengono vissuti come sperimentati e agiti da un IO sempre presente. In quanto sempre presente, trasversale e sovraordinato ai vari contenuti del pensiero non sembra possibile descriverlo a parole in modo soddisfacente, per questo è stato spesso associato all’esperienza mistica ed è stato definito sé trascendentale o prospettico.
  • Contatto con il momento presente: l’essere umano non può emanciparsi completamente dal comportamento verbale perché esso è pervasivo. Per questo, essere centrati sul presente comporta inaspettatamente il seguire una regola in un determinato contesto; tuttavia si tratta di una regola particolare, che prescrive una deliberata attenzione al contesto prossimale, così da incrementare l’effetto sul comportamento dell’ambiente immediatamente circostante e riducendo l’effetto di regole verbali disfunzionali che attualizzano situazioni lontane nel tempo e nello spazio. Ad esempio chiedere a una persona agganciata dalle proprie preoccupazioni di fare attenzione a quello che sta provando in questo momento, a quello che sta facendo o a quello che sta vedendo o ascoltando, può interferire positivamente con quella catena di preoccupazioni e allo stesso tempo rendere la persona consapevole del fatto che dare ascolto a quelle preoccupazioni le sta facendo perdere il contatto con il proprio ambiente, le persone intorno a lei, i suoi bisogni e i suoi valori.

Impegno nell'azione e modificazione del comportamento

L’ACT è una terapia legata a doppio filo alla tradizione comportamentale e che mantiene una forte focalizzazione sul cambiamento delle abitudini di vita disfunzionali come obiettivo ultimo della terapia. Per questo incentiva l’individuazione di azioni concrete e misurabili, e lo fa mantenendo una forte attenzione alla dimensione esistenziale e di senso personale. L’ACT promuove a livello motivazionale la chiarificazione dei propri valori e a livello di attività la pianificazione di azioni concrete coerenti con i propri valori. I processi coinvolti sono i seguenti:

Valori: l’ACT definisce i valori come qualità liberamente scelte di essere o di agire. I valori vengono liberamente scelti, e non possono essere valutati, vengono selezionati in presenza di ragioni ma non in funzione delle ragioni stesse. I valori sono verbalmente costruiti e vengono meglio espressi da verbi e avverbi piuttosto che da sostantivi. Per questo si dice che i valori esistono solo nel momento presente e che sono direzioni globali di vita che non possono essere mai raggiunte (al contrario degli obiettivi). Per l’ACT vivere la propria vita in accordo coi propri valori è l’atto più terapeutico che possa esserci e contemporaneamente il risultato più autenticamente terapeutico che un professionista possa desiderare. 

Impegno: intraprendere un’azione impegnata significa agire un comportamento guidato dai propri valori personali, anche in presenza di pensieri, emozioni o ostacoli esterni indesiderati che lo rendono difficile. Lo sviluppo di azioni impegnate è sia un processo fondamentali dell’Hexaflex che uno dei più importanti obiettivi terapeutici dell’ACT. Risulta tuttavia molto più corretto parlare di pattern o schemi di azioni impegnate, più che di singoli comportamenti isolati l’uno dall’altro. Ciò che organizza e permette a questi schemi di azione di perdurare ed essere coerenti nel tempo sono i valori personali della persona.

Strategie esperienziali

Uno dei principali problemi in psicoterapia è che esiste una differenza qualitativa tra comprendere concettualmente e sperimentare in modo diretto ed emotivo. La comprensione infatti riguarda le realtà logiche, concettuali e verbali, la sperimentazione quelle psico-logiche, molto più focalizzate sull’emotività, il contatto sensoriale e la conoscenza non mediata delle realtà.

E’ questa focalizzazione sull’aspetto emotivo ed esperienziale che rende l’ACT un’autentica terapia comportamentale. Infatti, là dove la terapia cognitiva punta solitamente a modificare le concettualizzazioni per modificare l’esperienza, l’ACT ha come obiettivo quello di favorire l’esposizione diretta ed emotiva alle esperienze e integrare armoniosamente le concettualizzazioni all’interno di queste, senza cercare di modificarle in nessun modo.

L’ACT utilizza diverse strategie per favorire il contatto diretto con l’esperienza:

Analogie e metafore: la forza del linguaggio figurato e metaforico in psicoterapia è conosciuta da tempo; la RFT tuttavia permette di analizzarne il contenuto in modo più mirato, al fine di suscitare un effetto specifico sul comportamento. Ad esempio, quando diciamo al paziente di osservare i propri vissuti dolorosi come se fossero un tramonto e non un problema di matematica stiamo modellando un atteggiamento di accettazione e defusione, dato che le funzioni più comunemente evocate da un tramonto sono quelle di ammirazione estetica, più che di elaborazione concettuale.

Esercizi esperienziali: gli esercizi esperienziali sono esercizi carta matita, in coppia, in movimento o meditativi volti a modellare in modo mirato uno o un sottogruppo specifico dei sei processi dell’ACT.

Paradossi funzionali: un paradosso funzionale è il prodotto di una contraddizione tra le proprietà letterali e funzionali degli eventi verbali e si riferisce a un processo che non può essere interamente letterale o verbale. Il paradosso funzionale più centrale nell’ACT è la regola relativa agli eventi privati dolorosi: “Se non lo vuoi lo avrai.” L’esposizione ripetuta a un paradosso intrinseco aiuta ad allentare la presa che il linguaggio letterale ha sui pensieri, sulle emozioni o sul comportamento, evidenziando come il linguaggio letterale sia utile in alcuni contesti, ma non in tutti. Inoltre, tutta l’impalcatura psicopatologica dell’ACT è costruita su un paradosso funzionale: il controllo non è la soluzione ma il problema (anche detto paradosso della soppressione). Semplificando, la terapia ACT propone una serie potenzialmente infinita di metodi per portare la persona a i) notare che sono proprio le strategie di controllo e soppresione dei propri eventi interni indesiderati a essere alla base della psicopatologia e a ii) scegliere di abbandonare il controllo e portare la propria attenzione e le proprie energie verso ciò che per la persona è importante.

Mindfulness: la pratica di mindfulness è uno dei cardini delle terapie di terza generazione e nell’ACT viene utilizzata per favorire il contatto con le contingenze dirette, favorire il distanziamento dal contenuto letterale degli stati interni e il contatto con un senso di sé più ampio e flessibile. La mindfulness è il viatico per imparare a discriminare il proprio comportamento in quanto processo in atto (e in un contesto).

Esposizione in vivo: l’ACT è una terapia essenzialmente espositiva. Tuttavia, mentre nell’esposizione di stampo più classico il paziente viene esposto, ad esempio, a uno stimolo fobico con l’obiettivo di ridurne l’attivazione emotiva, nell’ACT l’esposizione avviene nei confronti del processo di influenza verbale dell’ansia. Inoltre l’esposizione, guidata dai valori personali, non ha lo scopo di ridurre direttamente l’ansia ma di fargli sperimentare una vita più ricca e significativa. La riduzione dell’attivazione emotiva avverrà eventualmente per via indiretta nel momento in cui il paziente inizierà ad ampliare il proprio repertorio comportamentale.

Visione della psicologia umana esistenziale e non convenzionale

Vulnerabilità, accettazione, disponibilità nei confronti della vita in tutte le sue sfaccettature esperienziali, anche quelle dolorose, è il primo passo di una terapia ACT. È possibile vivere un’esistenza piena e significativa, iniziando da ora, ma per farlo si dovrà imparare ad abbandonare i tentativi infruttuosi di controllo, ad allentare la propria rigidità psicologica, cioè a uscire dalla propria mente ed entrare nella propria vita. Vediamo perché.

Il 30% della popolazione mondiale in questo momento soffre a causa di un disturbo psicologico maggiore diagnosticato, e l’80% di loro rischia di soffrire di più disturbi, mentre il 50% della popolazione generale soffrirà di un disturbo psicologico nel corso della vita.

Nel 1990, la depressione è stata la quarta causa principale di disabilità e malattie in tutto il mondo, nel 2000 è stata la terza causa principale, nel 2010 si è classificata seconda, nel 2017 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) l’ha messa al primo posto.

Infine, anche se siamo persone che godono di un buon grado di benessere abbiamo comunque il 50% di probabilità di lottare, per almeno due settimane nel corso della nostra vita, contro pensieri suicidari, senza contare eventi molto comuni che possono turbare la nostra condizione, come imprevisti economici, insoddisfazione esistenziale, abbandoni, malattie fisiche, lutti. 

l’ACT sembra partire da un assunto molto simile alla prima nobile verità del buddhismo: la sofferenza esiste. La sofferenza psicologica è normale, è importante a livello evolutivo e accompagna ogni persona nel corso della sua vita.

Data la sua pervasività e la sua funzionalità evolutiva non è possibile, e nemmeno desiderabile, sbarazzarsi volontariamente della propria sofferenza psicologica, è più realistico invece pensare di prendere provvedimenti per evitare di incrementarla. Per l’ACT tuttavia il dolore e la sofferenza sono due differenti condizioni esistenziali: il primo si riferisce a normali condizioni esistenziali su cui non abbiamo e non avremo mai il controllo; la seconda è il risultato di rigidi e persistenti tentativi di evitare il dolore esistenziale, cioè di controllare qualcosa che non può essere controllato. Quest’ultimo punto è cardinale per l’ACT, tentare di controllare ciò che non può essere controllato non solo è fonte di frustrazione immediata ma favorisce anche il persistere del dolore, il suo reiterarsi nel tempo, e infine permette al dolore di contro-controllare la nostra vita.

Teoria della psicopatologia

Nell’ACT la rigidità psicologica, il controllo delle esperienze interne e il comportamento verbalmente sono intimamente intrecciati. Mentre i problemi psicologici possono emergere da specifici deficit intellettivi (ad esempio nel caso del ritardo mentale) o di competenza (mancanza di abilità sociali, di regolazione emotiva o di competenze metacognitive), una fonte primaria di psicopatologia nell’ACT è il modo in cui il linguaggio e la cognizione interferiscono con il comportamento e con il contatto diretto delle esperienze.

Ad esempio un processo centrale che può condurre alla patologia è la fusione cognitiva, che si riferisce alla dominanza disfunzionale del comportamento verbalmente controllato dovuto all’incapacità di distinguere il processo verbale (il pensare) dai prodotti del processo stesso (il contenuto del pensiero). In contesti che nutrono tale fusione, il comportamento umano è guidato più da reti verbali relativamente inflessibili che dal contatto con contingenze ambientali. Questo funziona bene quando ci relazioniamo al mondo esterno, come quando stiamo cercando di mandare degli astronauti nello spazio, ma in altri contesti più psicologici incrementa la rigidità favorisce lo sviluppo di rigidità disfunzionali, come quando cerchiamo di sbarazzarci del dolore emotivo dovuto a un abbandono.

Il contatto con il momento presente diminuisce quando le persone iniziano a vivere “nelle loro teste”, cosicché il passato e il futuro concettualizzati, e il sé concettualizzato, guadagnano maggior potere sul comportamento, contribuendo ulteriormente alla rigidità psicologica. Per esempio, diviene più importante sapere chi è responsabile del dolore personale, invece di vivere più efficacemente con le circostanze; può essere più importante difendere il proprio punto di vista verbale (es. fare la vittima, avere ragione, ecc.) che impegnarsi in modalità più funzionali di comportamento. La richiesta imposta dalla psicologia ingenua di cercare la causa del proprio dolore conducono la persona a tentativi di capire e spiegare gli eventi psicologici anche quando ciò non è necessario.

Come risultato della rigidità psicologica, le persone possono agire in modo contrario a ciò che è rilevante per loro. Ad esempio, nel caso di un abbandono, cercare persistentemente l’altra persona anche se non ci vuole vedere e sentire, diventare sgradevoli e insultare, uscire a bere tutte le sere per non pensarci, trascurare la propria salute, smettere di uscire di casa per la vergogna, ecc. 

Un altro esempio, può venire da un contesto più ampio. La comunità verbale di riferimento (i nostri gruppi di appartenenza, la televisione, internet, la società) può favorire, del tutto involontariamente e non sempre in modo lineare, l’emersione di contesti verbali disfuzionali. Ad esempio, un fenomeno molto attuale è quello degli influencer, persone che a fini commerciali (più o meno dichiarati) popolano i social network di messaggi i cui contenuti sono bellezza, vitalità, opportunità, viaggi. Una sovraesposizione a contenuti di questo tipo può sottilmente, indirettamente e pervasivamente, modellare un contesto verbale votato al “sentirsi bene”. Tale contesto può generare insoddisfazione, depressione, svalutazione della propria vita e della propria persona, nonché tentativi persistenti di perseguire bisogni indotti e irrealistici.   

Tutto ciò significa che i valori autentici cedono il posto a obiettivi edonistici più immediati, come apparire belli, sentirsi bene, difendere il proprio sé, e così via. In questo modo le persone perdono il contatto con ciò che vogliono nella vita. Emergono abitudini che gradualmente dominano il repertorio della persona e che sono svincolate dalla qualità di vita desiderata nel lungo termine. I repertori di comportamento si riducono e diventano meno sensibili a tutto ciò che permetterebbe di intraprendere azioni in direzione dei valori.